Francesco Pasinetti, un maestro del documentario

Per ricordare l'attività di Francesco Pasinetti utilizziamo le parole di un cultore del cinema, giornalista e scrittore veneziano, Fiorello Zangrando.

Pochi come Francesco Pasinetti (1911-1949), veneziano, sono stati in Italia uomini di cinema completi. Regista sensibile, attento all'osservanza delle regole del linguaggio, formalmente molto disciplinato anche se inventivo; insegnante apprezzato al Centro sperimentale di cinematografia; storico appassionato e competente in un'epoca in cui mancavano approcci interpretativi adeguati e strumenti in linea con un vero interesse filologico e critico, ma che riuscì ciononostante a mettere insieme quella Storia, ripubblicata qualche anno fa dal Comune di Venezia, che si rivela in sostanza utile e seria; infine teorico e critico.

E a tale ultimo proposito, di Pasinetti capita puntuale una citazione. Ci sia consentita, riguarda Sergej Mikhailovic Ejzenstejn in una riflessione tolta dal Gazzettino di cui era collaboratore, prendendo lo spunto dal recentissimo convegno internazionale che la Biennale ha dedicato al maestro lèttone. Scrive il "serafico Francesco": «Ejzenstejn è senza dubbio uno dei più personali registi, uno di quelli che sono provveduti di uno stile. Fortemente attaccato a certi principii, rigoroso nella scelta dell'angolazione, esatto nel montaggio, crea tutto in funzione del quadro. Ecco perché rinuncia a priori a qualsiasi movimento della macchina da presa che, senza dubbio, determinerebbe uno squilibrio nella composizione dell'inquadratura. Movimenti di panoramica, movimenti di carrello in un suo film ce ne saranno tanti da potersi contare sulle dita di una sola mano. Il movimento dei personaggi risponde alle esigenze di principio e viene adottato in quanto consente una determinata composizione di elementi. Il quadro diviene così in certo senso geometrico". E ancora, con ottima percezione dei generi anche se Vittorio Strada adesso censura l'approccio epico ad una realtà che epica non era: "L'opera di Ejzenstejn segue, nel suo complesso, un prezioso andamento verso un fine di armonia plastico-ritmica di poema epico. Indubbiamente egli ha contribuito come pochi altri all'elevazione del cinema quale espressione d'arte, affermando un rigore e una coscienza immaginativa esemplari».

Ma Pasinetti fu anzitutto un regista. E quel suo Canale degli angeli, scritto col fratello Pier Maria e diretto nel 1934, resterà nella storia del cinema come un esempio di prodotto "d'avanguardia" centrato sulla doppia immagine della città, quella reale e quella sognata, là dell'oceano, singolarmente apprezzabile in un ambito marcatamente commerciale. Ma quasi tutto il suo cinema è un omaggio affettuoso a Venezia, colta spesso secondo punti di vista "interni", come dimostrano in particolare Venezia minore (che rielaborava il suo lavoro non professionale del '32 Venezia numero due) e La gondola, cioè suggeriti dalla profonda conoscenza dell'argomento e dall'univocità delle scelte, dalla necessità ispirata. Ogni inquadratura risponde alla domanda "perché", ci faceva osservare una volta Glauco Pellegrini, il suo allievo prediletto (e a sua volta autore di fresche suggestioni veneziane, contenute in Ombre sul Canal Grande e in L'uomo dai calzoni corti).Ma altri lavori pregevoli sono Il giorno della Salute e Venezia infestaPiazza San Marco e Il palazzo dei Dogi (questi ultimi due con musica di Gian Francesco Malipiero).

Francesco Pasinetti fu pure un cineasta molto curioso nel momento in cui fermamente credette nelle risorse del linguaggio documentaristico e specialmente della sua componente visiva (ricordiamo che fu il primo italiano a laurearsi in critica del cinema, con una tesi discussa a Padova con Giuseppe Fiocco). Inaugurò ad esempio la serie dei film didattici su operazioni chirurgiche, ritraendo in sala gli interventi di Francesco Delitala. Si accostò al mondo della creatività figurativa con Pittori impressionisti (musica di Gino Gorini) e Arte contemporanea in cui ebbe a fianco Rodolfo Pallucchini. Esplorò l'attività economica filmando gli impianti idroelettrici inLumiei e Piave-Boite-Vajont (mediometraggio incompiuto alla sua morte e completato da Pellegrini e da Rinaldo Dal Fabbro). Si cimentò appunto nel formato ridotto anche a soggetto, sottraendolo così alla sudditanza del giocattolo familiare (tra l'altro, produsse Fiera di tipi di Leonviola), si esercitò con l'attualità (riprese la liberazione di Venezia e suo fu il brano di Eugenio Gatto che attraversava Piazza San Marco col fazzoletto bianco per trattare la resa del Platzkommandantur).

Scrisse anche numerose sceneggiature ed ebbe discepoli: oltre a Pellegrini e Dal Fabbro, Castone Toschi, Vittorio Cossato e Gianluigi Polidoro, gli operatori Antonio Schiavinotto e Paolo Gregong. Recenti studi hanno opportunamente e legittimamente ripercorso il suo cammino, apportando correzione di tiro critico. Ma il debito che il cinema, e Venezia, hanno nei confronti di Francesco Fasinetti resterà scritto nel grande libro della poesia (e in quelli dell'entusiasmo e della storia...).

[ tratto da 
La passione e la ragione, Scritti cinematografici di Fiorello Zangrando - Quaderni della Videoteca Pasinetti ]